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venerdì 5 aprile 2013

Leonardo, il Cavallo e il Duca - seconda parte



Nell’ultimo quarto del XV secolo, a Milano, l’incontro e la somma delle ambizioni politiche di un Duca magnifico e privo di scrupoli, e quelle di un Genio in cerca di sfide sempre più ardue, generarono uno dei più ambiziosi progetti artistici del tempo. Una storia entusiasmante che proviamo a raccontare, scusandoci con i lettori più eruditi se, da profani qual siamo, incorreremo in qualche svista o inesattezza.

Il cavallo

Nel 1492 Ludovico il Moro decretò di allargare la piazza davanti al castello, proprio per ospitare il monumento, che per la sua mole non avrebbe più potuto essere sistemato al suo interno.

Stando ad alcuni, il modello in creta del cavallo era pronto già nel 1491, ma sicuramente nel 1493, nel laboratorio di Corte Vecchia, i Milanesi potevano sbalordirsi ammirando un colossale cavallo alto “12 braccia alla cervice”. In pratica superava i sette metri. Un palazzo a due piani. A detta dei contemporanei l’opera sarebbe stata addirittura esposta al pubblico.

Restava un dettaglio non da poco: come fondere la statua, tanto più che Leonardo, sempre disposto ad accettare le più ardue sfide ingegneristiche, s’era risolto a fondere in un solo getto! Cerchiamo di spiegare la complessità della sfida.

Leonardo, allievo del Verrocchio, era senz’altro a conoscenza della tecnica di fusione detta a cera persa. Questa tecnica prevede la creazione della statua alquanto abbozzata in terra refrattaria, generalmente argilla, che viene successivamente ricoperta di cera e finemente modellata fino alla sua forma definitiva. Questo modello viene quindi chiuso in una cappa di refrattario, e il tutto viene calato nella fossa di fusione. Qui il calore asciuga il refrattario, asciuga il modello e scioglie la cera, che cola via attraverso dei fori precedentemente preparati nella cappa. L’intercapedine lasciata dalla cera sarà successivamente occupata dalla colata di bronzo. Quando questa si sarà raffreddata, non resta che rompere la cappa e la statua spunta come dall’uovo di pasqua, pronta per la rifinitura. La fusione a cera persa si praticava già in epoca classica, ma era caduta in disuso da vari secoli, e ora gli artisti italiani la stavano riportando in voga.

Con questa tecnica, però, Leonardo non avrebbe potuto prevedere gli spessori del bronzo, quindi il peso e la quantità di lega necessaria. Per un monumento di quelle dimensioni era imprescindibile sapere quanto metallo servisse, per evitare di non averne abbastanza per la colata. In più il peso doveva essere molto contenuto, per ovvi problemi. Probabilmente il peso e la sua distribuzione furono determinanti a fargli abbandonare il primo progetto, senz’altro più epico, ma molto più problematico. Leonardo si mise all’opera elaborando una nuova procedura, successivamente teorizzata da Vasari e, con poche varianti, utilizzata ancora oggi.

In questo procedimento il modello d’argilla è esattamente rifinito, e su di esso si fa un calco in gesso. Aperto il calco se ne ricopre la superficie interna con cera (grossezza), e vi si costruisce un’anima in refrattario. Riposizionato il calco dopo aver eliminato la grossezza, vi si cola la cera. Ciò fatto il calco si elimina, si passa a rifinire la cera, si ricopre con la cappa di fusione e si procede all’infornata e alla colata come nel processo a cera persa.

Con questo procedimento Leonardo poteva controllare direttamente lo spessore del bronzo, che sarebbe stato uguale a quello della grossezza, e, rapportando volume e densità della grossezza e del bronzo, anche la quantità di metallo necessaria.

Restava, ancor più arduo, il problema di come effettuare la colata. Tecnicamente la soluzione più semplice sarebbe stata la fusione in pezzi separati e poi saldati, ma pare che il semplice non rientrasse nelle idee vinciane.

Il punto cruciale della colata è quello di mantenere la temperatura di fusione costante per tutta la durata del processo.

Leonardo aveva studiato due alternative: la prima era porre il cavallo capovolto in verticale, ossia con le zampe verso l’alto, il secondo di fonderlo coricandolo su un fianco. Nel primo caso si sarebbe dovuto scavare una fossa molto profonda che avrebbe rischiato di avvicinarsi troppo alla falda freatica. L’umidità avrebbe certamente danneggiato l’opera. Inoltre le zampe, che dovevano essere piene per sopportare il peso della statua, avrebbero potuto sfondare il corpo vuoto del cavallo.

La seconda soluzione prevedeva di coricare la statua su un fianco. In questo caso il raffreddamento non uniforme avrebbe reso difficile la distribuzione del metallo.

Per mantenere la temperatura di fusione Leonardo progettava d’impiegare più fornaci, e anche qui la fusione in orizzontale sembrava la soluzione più favorevole. "A dì 20 di dicienbre 1493 conchiudo gittare il cavallo sanza coda e a diacere" con queste parole Leonardo pare avesse preso la decisione finale, ma probabilmente continuò ancore a studiare le differenti opzioni.

(continua)

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